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Quando il font divide la nazione

Penso che tutti noi che lavoriamo nell’ambiente grafico abbiamo una preferenza per questo o per quell’altro font: c’è chi predilige l’Helvetica, chi è un fan del Garamond; io personalmente ho un debole per il Futura. Difficile però che la divergenza di opinioni sull’argomento possa arrivare più in là di un “Va là, va là, ma come fa a piacerti il Comic sans?”. C’è però, ovviamente, un’eccezione, e in questo caso è decisamente clamorosa:

Verso la fine del 1400 vennero creati, dal francese Nicolas Jenson e dall’italiano Aldo Manuzio, i font Antiqua: l’Antiqua passò a sostituire, in tutta Europa, i caratteri Fraktur: solo in Germania i due tipi di font coesistettero più a lungo, con l’Antiqua usato per i testi latini e il Fraktur per quelli tedeschi: inizialmente pura convenzione, la situazione divenne ben presto di carattere ideologico, con dispute partigiane su quale fosse il carattere migliore.

La vicenda assunse risvolte grotteschi a partire dal 1800, quando la Germania cercò di definire dei valori culturali comuni per tutta la popolazione tedesca; l’operazione coinvolse anche la letteratura e la grammatica, e i sostenitori dei due caratteri si spaccarono in veri e propri schieramenti opposti. I fan del Fraktur, ad esempio, sostenevano che l’Antiqua fosse “non tedesco”, “superficiale” e “poco serio”, in contrasto col loro beniamino, che sarebbe invece stato “sobrio” e “profondo” (in effetti, ammettiamolo, ha quell’aria tutta germanica, il Fraktur, già a partire dal nome!). Si narra l’aneddoto secondo cui Katharina Elisabeth Textor, madre di Goethe, chiese al figlio di “rimanere tedesco, per l’amor di Dio”, anche nella scrittura, col risultato che egli smise di usare l’Antiqua e ritornò al Fraktur. Non era immune dalla disputa nemmeno il cancelliere Bismarck, che al ricevere in regalo un libro in tedesco scritto in Antiqua lo rispediva dritto al mittente, scrivendo “Non leggo libri tedeschi in scrittura latina!”

Il secolo successivo la battaglia continuò imperterrita: tale Adolf Reinecke, nel 1910, scrisse un vero e proprio manifesto del Fraktur sostenendo che, a differenza dell’Antiqua, fra le altre cose, esso “non causava miopia”, “rendeva facile l’apprendimento del tedesco agli stranieri” e “non facilitava l’infestazione di parole straniere”. La faccenda giunse nientepopodimeno che al Reichstag, dove la Verein für Altschrift, una società sostenitrice dell’Antiqua, propose di renderlo carattere ufficiale nazionale, e di insegnare nelle scuole a scrivere in corsivo “latino” anziché con la scrittura tradizionale (chiamata kurrent e basata sui caratteri gotici): risultato, dibattito acceso e proposta respinta per 85 voti contro 82.

La parola fine alla questione la pose il nazismo: nel periodo iniziale il Fraktur venne propagandato come la vera e sola scrittura tedesca e poi, nel 1941, con un inaspettato dietro-front, venne bollato come “scrittura giudaica” e vietato, seguito a ruota dal kurrent e dal sütterlin, un altro corsivo introdotto solo negli anni venti. Pare fosse il führer stesso ad avere in antipatia il Fraktur, dato che dichiarò:

“La vostra dichiarata intenzione di internalizzazione del gotico non si adatta a questa età di acciaio e ferro, vetro e cemento, bellezza femminile e forza maschile, di alzate di testa ed intenzioni provocatorie… In un centinaio d’anni la nostra lingua sarà la lingua europea. Le nazioni dell’est, del nord e dell’ovest che vorranno comunicare con noi impareranno la nostra lingua. Il prerequisito per ciò: la scrittura denominata gotica sarà sostituita dalla scrittura fino ad ora denominata latina…”

Dopo la fine della guerra, alcune scuole ripresero ad insegnare il sütterlin come forma alternativa, ma il corsivo latino, ormai imperante, non gli lasciò scampo. Ciò significa che molti dei tedeschi di oggi non sono in grado di decifrare la scrittura di diari e scritti dei loro genitori o nonni, data la significativa differenza delle due scritture corsive. Ad oggi, il Fraktur sopravvive solo, oltre che in piccole società culturali poco conosciute, nei loghi delle birre e nelle insegne delle osterie.

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