Posted on

etaoin shrdlu

linoNo, non è una formula magica per far ripartire l’economia nazionale, bensì una sequenza di lettere entrata nella storia della tipografia statunitense. Questa è la storia: quando il signor Ottmar Mergenthaler, nel 1881, inventò la Linotype, le tastiere di tale macchina (ne vedete una qui a fianco) non erano certo le “QWERTY” che usiamo oggi, bensì erano più simili a quelle di una macchina da scrivere: i tasti erano disposti per frequenza d’uso e le due colonne più a sinistra erano occupate dai caratteri minuscoli e-t-a-o-i-n e s-h-r-d-l-u.

Ora, direte voi, embè? Cos’aveva di tanto particolare “etaoin shrdlu”da entrare nella storia della tipografia? Pare che, quando gli operatori commettevano qualche errore, anziché rimuovere le lettere sbagliate, facessero semplicemente scorrere il dito giù per la tastiera in modo da finire la riga, che poi sarebbe stata rimossa prima della stampa (corso rapido di Linotype: battendo una lettera sulla tastiera, non si stampava nulla, bensì si “sganciava” un singolo carattere mobile: scrivendo, quindi, si componeva letteralmente la matrice, che poi sarebbe stata usata per stampare; quindi, una riga errata poteva essere rimossa, dall’operatore stesso o dal tipografo, prima della stampa)Etaoin_shrdlu. Solo che, a volte, la riga non veniva notata e restava lì in mezzo alle altre, e l’etaoin shrdlu finiva in stampa, campeggiando allegramente negli articoli di giornale – come nell’estratto qui a destra (alla fine della penultima riga del paragrafo).

Questa sequenza di lettere dev’essere apparsa sulle pagine dei giornali talmente tante volte che la gente avrà preso a cercarla sul dizionario; dai e dai sono stati accontentati, tant’è vero che l’espressione ha finito per essere inclusa in diversi vocabolari, fra cui il prestigioso Oxford English Dictionary. Come il “lorem ipsum”, di cui avevamo già parlato in passato, “etaoin shrdlu” è diventata una frase in qualche modo cara ai tipografi statunitensi: quando il New York Times uscì con il suo ultimo numero stampato con la Linotype (il 2 luglio 1978), l’evento venne ricordato in un documentario titolato proprio Farewell, Etaoin Shrdlu.

Share
Posted on

Quando il font divide la nazione

Penso che tutti noi che lavoriamo nell’ambiente grafico abbiamo una preferenza per questo o per quell’altro font: c’è chi predilige l’Helvetica, chi è un fan del Garamond; io personalmente ho un debole per il Futura. Difficile però che la divergenza di opinioni sull’argomento possa arrivare più in là di un “Va là, va là, ma come fa a piacerti il Comic sans?”. C’è però, ovviamente, un’eccezione, e in questo caso è decisamente clamorosa:

Verso la fine del 1400 vennero creati, dal francese Nicolas Jenson e dall’italiano Aldo Manuzio, i font Antiqua: l’Antiqua passò a sostituire, in tutta Europa, i caratteri Fraktur: solo in Germania i due tipi di font coesistettero più a lungo, con l’Antiqua usato per i testi latini e il Fraktur per quelli tedeschi: inizialmente pura convenzione, la situazione divenne ben presto di carattere ideologico, con dispute partigiane su quale fosse il carattere migliore.

La vicenda assunse risvolte grotteschi a partire dal 1800, quando la Germania cercò di definire dei valori culturali comuni per tutta la popolazione tedesca; l’operazione coinvolse anche la letteratura e la grammatica, e i sostenitori dei due caratteri si spaccarono in veri e propri schieramenti opposti. I fan del Fraktur, ad esempio, sostenevano che l’Antiqua fosse “non tedesco”, “superficiale” e “poco serio”, in contrasto col loro beniamino, che sarebbe invece stato “sobrio” e “profondo” (in effetti, ammettiamolo, ha quell’aria tutta germanica, il Fraktur, già a partire dal nome!). Si narra l’aneddoto secondo cui Katharina Elisabeth Textor, madre di Goethe, chiese al figlio di “rimanere tedesco, per l’amor di Dio”, anche nella scrittura, col risultato che egli smise di usare l’Antiqua e ritornò al Fraktur. Non era immune dalla disputa nemmeno il cancelliere Bismarck, che al ricevere in regalo un libro in tedesco scritto in Antiqua lo rispediva dritto al mittente, scrivendo “Non leggo libri tedeschi in scrittura latina!”

Il secolo successivo la battaglia continuò imperterrita: tale Adolf Reinecke, nel 1910, scrisse un vero e proprio manifesto del Fraktur sostenendo che, a differenza dell’Antiqua, fra le altre cose, esso “non causava miopia”, “rendeva facile l’apprendimento del tedesco agli stranieri” e “non facilitava l’infestazione di parole straniere”. La faccenda giunse nientepopodimeno che al Reichstag, dove la Verein für Altschrift, una società sostenitrice dell’Antiqua, propose di renderlo carattere ufficiale nazionale, e di insegnare nelle scuole a scrivere in corsivo “latino” anziché con la scrittura tradizionale (chiamata kurrent e basata sui caratteri gotici): risultato, dibattito acceso e proposta respinta per 85 voti contro 82.

La parola fine alla questione la pose il nazismo: nel periodo iniziale il Fraktur venne propagandato come la vera e sola scrittura tedesca e poi, nel 1941, con un inaspettato dietro-front, venne bollato come “scrittura giudaica” e vietato, seguito a ruota dal kurrent e dal sütterlin, un altro corsivo introdotto solo negli anni venti. Pare fosse il führer stesso ad avere in antipatia il Fraktur, dato che dichiarò:

“La vostra dichiarata intenzione di internalizzazione del gotico non si adatta a questa età di acciaio e ferro, vetro e cemento, bellezza femminile e forza maschile, di alzate di testa ed intenzioni provocatorie… In un centinaio d’anni la nostra lingua sarà la lingua europea. Le nazioni dell’est, del nord e dell’ovest che vorranno comunicare con noi impareranno la nostra lingua. Il prerequisito per ciò: la scrittura denominata gotica sarà sostituita dalla scrittura fino ad ora denominata latina…”

Dopo la fine della guerra, alcune scuole ripresero ad insegnare il sütterlin come forma alternativa, ma il corsivo latino, ormai imperante, non gli lasciò scampo. Ciò significa che molti dei tedeschi di oggi non sono in grado di decifrare la scrittura di diari e scritti dei loro genitori o nonni, data la significativa differenza delle due scritture corsive. Ad oggi, il Fraktur sopravvive solo, oltre che in piccole società culturali poco conosciute, nei loghi delle birre e nelle insegne delle osterie.

Share
Posted on

La sfida e altri racconti di Giorgio Ragucci Brugger

E’ disponibile in alcune librerie di Trento il nuovo libro di Giorgio Ragucci Brugger “La sfida ed altri racconti”, una raccolta di storie su temi diversi che spaziano nella storia, nel mondo della attualità, nella sfera dell’inconscio e sfociano spesso nella simbologia e nella metafora.

Nel nostro sito potete trovare un estratto del libro nella sezione editoria.

 

Share
Posted on

Il Lorem ipsum

Molti grafici, se non tutti, hanno avuto a che fare con il Lorem ipsum, un “mostro sacro” del nostro settore, ma quanti sanno esattamente da dove deriva?

Il primo uso documentato di questo testo – di cui esistono più versioni – si ebbe nel ‘500, quando uno stampatore lo usò per mostrare i propri caratteri, mentre al giorno d’oggi è diventato uno dei testi di riempimento standard usati nell’impaginazione. Il testo in realtà non ha nessun significato: si tratta solo di parole (o pezzi di parole) a caso, tratte dal De finibus bonorum et malorum, un testo di Cicerone del 45 a.C.. Come però sia giunto a noi in questa forma rimane un mistero: la provenienza, infatti, è stata scoperta per puro caso da un latinista statunitense, negli anni ’60.

Share